Sergio Mascheroni è un libero professionista nel campo della comunicazione.
Uno stile inconfondibile e un forte senso di ironia caratterizzano i suoi lavori.
L’eccellenza e l’efficacia con cui utilizza questo tipo di comunicazione lo hanno portato a lavorare con marchi molto importanti in collaborazione con l’agenzia “Armando Testa” (dal 1995 al 2006) con cui ha lavorato per nomi come: Telecom Italia, De Agostini, Gabetti, Esselunga, Lancia, Luxottica, Martini. Con quest’ultima ha dato vita a un progetto pubblicitario rimasto nella memoria di molti: “No Martini, no Party.” con George Clooney come protagonista, realizzato insieme all’amico copywriter Leonardo Manzini.
Successivamente, divenuto libero professionista, ha continuato ad offrire il proprio talento e professionalità realizzando campagne, progetti grafici e video con nomi del calibro di: Comune di Milano, Ornella Vanoni, Bacardi, Samaritan Purse (che ha avuto un ruolo positivo determinante in questa pandemia sia in Italia che a New York), Crodino Campari.
Ha rilasciato per noi un’intervista nella quale gli abbiamo chiesto della sua vita attuale, del suo lavoro e delle prospettive future del mondo della comunicazione pubblicitaria. Da non perdere!
Ciao Sergio e grazie per la tua disponibilità a questa intervista.
Prego, oggi sono tranquillo.
Questa pandemia dalla quale stiamo cercando di uscire, sta provando un pò tutti noi sia dal lato professionale che umano. Attualmente vivi a Milano? Come hai vissuto la fase del Lockdown?
In realtà non è cambiato molto. Sia per me che per mia moglie Daniela che si occupa di montaggio video e che lavora con me è la vita che conducevamo già prima.Entrambi siamo liberi professionisti e lavoriamo in casa da 15 anni circondati dai nostri figli che, studiando, son sempre intorno a noi.
Diverso invece è per i nostri clienti che si son visti interrompere attività e introiti economici da un giorno con l’altro. Alcuni ci han già comunicato tagli di budget mentre altri ci han commissionato cose nuove proprio in virtù dei loro problemi relativi alla pandemia.Per quanto riguarda la città di Milano che già amavo prima, non ti nascondo che vederla così vuota, silenziosa e stranamente a riposo, si è rivelata un’esperienza piacevole, nuova e interessante.
Veniamo al tuo lavoro, come ti sei avvicinato al mondo della comunicazione? Una passione che hai avuto sin da piccolo o è accaduto successivamente?
Fin da piccolo direi. Già alle medie ero il responsabile/realizzatore ufficiale dei cartelloni che venivano affissi in classe e all’oratorio. Adoravo inventarmi slogan e realizzare le grandi scritte colorate con tempere e pennarelli. In più, mio padre vedendo questa mia deriva creativa, non si è mai risparmiato nel circondarmi di riviste di arte e nel concedermi budget illimitato per studi e materiali.
Alle superiori ho frequentato il liceo artistico pensando che poi avrei fatto architettura finchè all’ultimo anno son venuto a conoscenza di una scuola di pubblicità (era il periodo delle vacche grasse dell’advertising) che mi ha letteralmente folgorato. Mi sono quindi iscritto e poi il resto è storia.
Nella tua carriera hai collaborato con grandi nomi e realtà nazionali ed internazionali, regalandoci dei lavori di comunicazione veramente originali e memorabili. Con un carattere indiscutibile. Una delle problematiche odierne sembra essere il raggiungimento di un’autentica originalità nel proprio lavoro. Spesso ci si concentra sulle “tendenze” attuali che a volte sembrano essere già “vecchie” ancor prima di prendere piede.
C’è qualche consiglio che potresti dare, in base alla tua esperienza, a chi possiede oggi un’autentica volontà di proporre qualcosa di veramente “nuovo” quando si tratta di comunicazione?
A scuola e poi in agenzia ho imparato che una comunicazione per funzionare ed essere innovativa, deve essere un paio di passi avanti al consueto. Se i passi son troppi non sarà capita e accettata, se invece di passi non ne fai, è già vecchia e probabilmente inefficace. A chi me lo chiede dico sempre che la creatività è prima di tutto coraggio. Idee e colori verranno poi. Bisogna rischiare un po’, ma non sempre riesci a trovare committenti che vogliano osare con te.
Una delle campagne entrate oramai nella storia della pubblicità è il tuo lavoro fatto con Martini. “No Martini – No Party”. Come è nato questo slogan e come è nata l’idea? Avete pensato subito a George Clooney come testimonial?
E’ bello che qualcuno si ricordi ancora di questa campagna ☺.
Non ti nascondo che è stato un onore pensarla e realizzarla con il mio copywriter di allora Leonardo Manzini. Per cominciare, l’idea che oggi potete vedere su YouTube è l’esatto contrario di ciò che il cliente richiedeva nel brief. Il testimonial DOVEVA essere donna e nel documento che ci hanno dato prima di iniziare c’erano un bel po’ di pagine in cui ci spiegavano il perché dovesse esserlo.
Noi presentammo qualche idea che si aspettavano e poi il lampo: ma perché non… E da lì è stato un inanellarsi di belle soddisfazioni.
Per quanto riguarda George, in quel periodo non era ancora così famoso, ma per noi era l’unico attore hollywoodiano che aveva l’ironia necessaria per essere credibile in quel ruolo. Non solo, quando gli abbiam raccontato l’idea ha voluto far parte del progetto a tutti i costi.
Lo slogan? E’ nato di conseguenza e a distanza di anni (la campagna non è più online da un bel pezzo) continua ad essere utilizzata negli stadi, in tv e sui social: basta sostituire la parola Martini con qualcos’altro e il gioco è fatto. L’approvazione però è stata complessa perché il cliente non voleva un claim con doppia negazione. Infatti dagli studi sulla pubblicità che si imparavano sui libri non era assolutamente cosa da fare. E qui torniamo al discorso del coraggio.
Potresti definire qualche aspetto fondamentale sul quale fare leva quando si pensa ad una campagna pubblicitaria di successo? C’è un filo comune che lega un pò tutte le più importanti e memorabili campagne alle quali hai lavorato?
Innanzitutto deve esserci un’idea forte e possibilmente nuova. In Armando Testa c’era, giustamente questo mantra: senza idea non presentatevi neanche.
Poi, naturalmente, occorre chiarezza e semplicità per permettere alla comunicazione di essere capita da tutti, ovunque.
Io ci aggiungerei due linguaggi che io adoro e che cerco sempre di applicare quando la tipologia di cliente me lo permette e che sono l’ironia e l’umorismo.
A mio parere predispongono positivamente all’ascolto molto di più della serietà e dell’autocelebrazione.
Come definisci il lavoro dell’Art-Director e di cosa si dovrebbe “occupare” all’interno di un’agenzia?
E’ un po’ che non frequento agenzie e probabilmente le dinamiche sono cambiate. Ai miei tempi, insieme al copy, compagno inseparabile (passavo più tempo con lui che con mia moglie), la coppia creativa era l’entità che prendeva le problematiche, le statistiche e i desideri del cliente e li traduceva in qualcosa di possibilmente bello che potesse rimanere nei pensieri del target, spingendolo poi all’acquisto del prodotto.
In un mondo come quello della comunicazione (televisione, giornali, affissioni, social media, telemarketing…) in cui tutti gridano per cercare di farsi notare e di attirarti a sé, il non passare inosservati è già una bella vittoria.
Abbiamo avuto modo di apprezzarti anche come regista con la “18 Film Production”. Come è nata questa passione, ce l’hai da sempre o e nata successivamente? Cosa hai prodotto fino ad oggi?
E’ nata quando ho iniziato a lavorare in autonomia da casa. Il non essere obbligato a stazionare seduto in un luogo per 10 ore (a volte anche 20) mi ha liberato praterie creative che non immaginavo e la realizzazione di video rientra in questa libertà. La grande differenza sta nel fatto che in agenzia commissionavamo tutto alle case di produzione, avevamo budget pazzeschi e tanti professionisti a nostra disposizione.
Ad oggi non riesco a citarti niente di ciò che ho fatto che possa dire che mi soddisfi appieno. Sono ancora a scuola, più avanti ti dirò.
Abbiamo assistito in questi anni ad una mutazione costante nel modo di comunicare soprattutto con l’avvento dei social. Anni fa alcune grandi aziende “snobbavano” l’utilizzo di facebook e instagram come strumento di business, mentre oggi il Social Media Manager diventa una figura chiave per il contatto diretto e giornaliero con il consumer, divenendo figura fondamentale anche per la costruzione di brand e di una community da trasformare in clienti ad esempio. Cosa è cambiato secondo te nel mondo della pubblicità negli ultimi 10-15 anni?
Mooooltissimo.
Positivamente: il sogno di ogni cliente si è realizzato: non sprecare neanche un contatto. Mi spiego meglio. Ai miei tempi gli spot venivano misurati in GRP (Gross Rating Point. Analizziamo uno spot di dopobarba trasmesso su Rai Uno dopo il TG delle 20; veniva visto da 10 milioni di persone, peccato però che gli uomini adulti con una barba da tagliare davanti alla tv fossero solo il 15% di quei 10 milioni. Uno spreco dell’85% di visioni.
Ora, invece, puoi raggiungere una donna con il ciclo addirittura 3 giorni prima che il ciclo ce l’abbia. Solo le bionde? Non c’è problema. Puoi “tampinare” un art director che ha bisogno di un nuovo Mac senza disturbare sua nonna che pensa sia solo una catena di fastfood.
Negativamente: Il consumo di una qualsiasi comunicazione avviene per il tempo di una strisciata di dito sullo schermo. 20 anni fa realizzavi uno spot e rimaneva in onda per uno o più anni. Ora, dopo la famosa strisciata di dito, il mio annuncio è vissuto come già vecchio, andato. Quindi via, cambiare! Tutto questo comportamento porta ad aver bisogno di tanta quantità più che di buona qualità. Con conseguenza disastrosa sui budget, sull’impegno da dedicare alla singola comunicazione e ovviamente sulla qualità del manufatto.
Grazie ancora e buon lavoro.
Grazie a voi e se non ci sentiamo più, buon Natale.