Il caro energia non lo viviamo nelle nostre famiglie solo quando arrivano le bollette. Lo si vive anche quando i nostri cari sono espulsi dal ciclo produttivo dalle innumerevoli aziende costrette a chiudere i battenti perché impossibilitate ad andare avanti per i costi esorbitanti dell’energia che impiegano nelle loro attività.
Leggiamo, in un recente rapporto di Confartigianato, che l’aumento vertiginoso dell’energia sta mettendo in condizioni di rischio oltre 880.000 micro e piccole imprese con oltre 3.500.000 di addetti, pari a quasi il 21% dell’occupazione del sistema imprenditoriale italiano. Il report mette in evidenza l’impatto sempre più pesante della corsa dei prezzi di gas ed elettricità su tantissime aziende in tanti settori importanti del nostro tessuto produttivo.
Le attività più esposte alla minaccia del caro energia, e il rischio di chiusura, sono quelle note come energy intensive, ovvero ceramica, vetro, cemento, carta, metallurgia, chimica, raffinazione del petrolio, alimentare, bevande, farmaceutica, gomma e materie plastiche e prodotti in metallo. Ma anche altri comparti soffrono drammaticamente dei rincari dei prezzi dell’energia come il comparto tessile, la lavorazione del legno, le attività di stampa, la produzione di accumulatori elettrici e di apparecchi per uso domestico, di motori e accessori per auto, la fornitura e gestione di acqua e rifiuti.
Secondo l’analisi fatta da Confartigianato, gli effetti del caro-energia non risparmiano nemmeno il settore dei servizi, come il commercio di materie prime agricole e di prodotti alimentari, ristorazione, servizi di assistenza sociale residenziale, servizi di asili nido, attività sportive come piscine e palestre, parchi di divertimento, lavanderie e centri per il benessere fisico.
A questi settori va aggiunto il settore del trasporto, schiacciato dall’aumento del costo del gasolio. Il trasporto delle merci su strada, i servizi di trasloco, i taxi, il noleggio auto e bus con conducente, il trasporto marittimo. È da ultimo il settore della logistica, con attività come il magazzinaggio e le attività di supporto ai trasporti che subiscono pesanti rincari delle bollette per le attività di refrigerazione delle merci deperibili.
A livello territoriale, la regione più esposta ai disastrosi effetti del caro-energia sull’occupazione delle piccole imprese è la Lombardia: sono a rischio 139mila aziende con 751mila addetti. Non va meglio per il Veneto, dove a soffrire sono 77mila piccole imprese con 376mila occupati. Seguono a breve distanza l’Emilia-Romagna (72mila piccole imprese con 357mila addetti), il Lazio (79mila imprese e 304mila addetti), il Piemonte con 62mila aziende che danno lavoro a 262mila addetti, la Campania (77mila imprese con 240mila addetti), la Toscana con 63mila imprese e 228mila addetti, la Puglia (57mila piccole imprese e 177mila addetti) e la Sicilia (63mila imprese con 165mila occupati).
Se le cose continuano così si rischia la morte di decine di miglia di imprese. Servono interventi urgenti ma anche veloci riforme strutturali per riportare i prezzi dell’energia sotto controllo e scongiurare una crisi irreversibile. Tra le misure d’emergenza ci deve essere l’azzeramento degli oneri generali di sistema per luce e gas, la proroga e l’ampliamento del credito d’imposta sui costi di elettricità e gas per le imprese non energivore e non gasivore. Inoltre, va fissato un tetto europeo al prezzo del gas e va recuperato il gettito calcolato sugli extraprofitti, per non aggravare la situazione del bilancio pubblico.
Vanno sostenuti gli investimenti in energie rinnovabili e nella diversificazione delle fonti di approvvigionamento, in particolare per creare Comunità Energetiche e per incrementare l’autoproduzione. Tra gli interventi sollecitati da più parti anche la riforma della tassazione dell’energia che oggi tocca il 51% della bolletta e che penalizza con maggiori oneri proprio le piccole imprese che consumano meno, in barba al principio “chi inquina paga”.
Come abbiamo avuto modo di leggere, i nodi da sciogliere sono tanti e l’unico elemento che non abbiamo in abbondanza è il tempo. Gli interventi, dunque, sono da mettere in campo subito, senza tentennamenti, pena l’emarginazione del nostro Paese e di tutto il suo apparato economico-industriale.